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S'era
fatta un po' di confusione - almeno a livelli di opinione
pubblica - ma il convegno di Piove di Sacco del settembre
2000 ha definitivamente chiarito le idee. La gallina di
Polverara (o, più semplicemente, la "Polverara")
e quella "Padovana" sono due razze distinte.
Più antica la Polverara, più recente, si
fa per dire, la Padovana. |
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La
prima ha il ciuffo che ricorda la pettinatura dei giovani
d'oggi, tutta "spuntoni" e gel; la seconda richiama
la chioma "cotonata", Anni Cinquanta-Sessanta,
delle signore "à la page". Tanto per
fare riferimenti agli aspetti più evidenti.
Quanto a importanza gastronomica, la Polverara si segnala
per la qualità delle sue carni bianca e scura,
mentre la Padovana è gallina ovaiola per eccellenza,
oltre a presentare rimarchevoli eleganze ornamentali. |
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Dell'una
e dell'altra si è occupata anche la letteratura
passata e recente. Nella "Secchia Rapita" (VIII
canto, 26. ma ottava) Alessandro Tassoni racconta che,
in aiuto ai modenesi contro i bolognesi, arrivarono "Quei
di Polverara - dov'è il regno dei galli, e la sementa,
famosa in ogni parte".Gianna e Maria Facco, nel loro
volumetto " Tradizioni padovane", ricordano
che i padovani, sconfitti dai veneziani nella guerra del
1214, furono condannati a portare ogni anno a Venezia
trenta galline.
"Fedeli alla parola data,
i nostri concittadini, durante cinque secoli, portarono
i volatili promessi nei sestieri di Castello e di San
Nicolò. Appena sbarcate, le galline erano lasciate
libere, e aizzate, anzi, per rendere più movimentata
la caccia. Le popolane, se ne stavano chissà da
quanto tempo di vedetta, si slanciavano all'inseguimento
fra le alte grida e le risate di tutti, padovani compresi.
L'infausto 1797 interrruppe quest' usanza". |
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I
ricettari antichi e moderni vogliono che la Polverara
e la Padovana siano bollite (con o senza ripieno) per
esprimere al meglio il sapore delle loro carni. Per il
gallo esiste una ricetta che ne prescrive la cottura in
corposo vino rosso (e il Friularo è indiscutibilmente
il più indicato), mentre quando il pennuto è
ancora allo stato di pollastrello lo si consiglia impanato
e fritto oppure "in tocio" (in umido) con le
patate novelle.
Altra importante testimonianza è quella fornita
da Giuseppe Maffioli ("La cucina padovana"): |
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"La
gallina padovana, nella mia primissima infanzia l'incontravo
nuda e già cotta, ogni giorno, alla destra del
coperto del nonno Giuseppe... Ogni giorno c'erano ospiti
e il menù variava con una certa larghezza, ma il
nonno voleva, sempre quotidianamente, nel posto che di
solito si riserva ai grissini, una gran gallina bollita,
della quale piluccava polpine favorite e della quale si
serviva per premiare sul campo chi aveva qualche merito,
o di simpatia, se si trattava di un ospite o di qualche
bella signora, o per ricompensa a un figlio che avesse
eseguito bene i suoi ordini nel lavoro, o a un nipote
che avesse avuto qualche bel voto a scuola....
Col brodo di quella gallina ed altre carni commiste si
preparavano quotidianamente minestre di riso o di tagliatelle
sottili.... La gallina era ovviamente padovana; doveva
avere la doppia pelle, cioè uno strato di grasso
tra la pelle e la polpa, per comprovarne la buona nutrizione.
Il nonno all'inizio spogliava la gallina della sua pelle
con gesti di grande precisione e poneva questa pelle da
una parte. Pelle prelevata da zia Teresa, la cuoca-intendente
della famiglia, che trasformava questa pelle in una specie
di trippetta di pollo, assai simile ad una certa zuppa
all'imperiale citata dal Messisbugo che di galline padovane,
nella prossima Ferrara, doveva aver avuto certo qualche
conoscenza". |
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Le
pietanze citate in questa nota e cucinate nelle maniere
più disparate (bollite, fritte o in umido, arrosto
o allo spiedo) si sposano felicemente con il Friularo:
le più dedicate con quello classico, quelle dai
sapori più forti con il Riserva o con quello da
vendemmia tardiva. |
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